RACCONTO N. 4: DOV'È ANNA (ANITA CHRISTIE)
Dov’è Anna?
Era buio pesto. La mancanza di lampioni nelle
strade non permetteva di osservare lontano. La sveglia, che avevo messo prima
di andare a letto, ancora dormiva mentre l’ansia dentro di me lasciava posto
allo sgomento. Non capivo come un tizio come me era finito nei guai del genere.
Mia moglie aveva preso un anno di aspettativa
nell’ospedale dove lavorava da dieci anni. Lei sosteneva che fosse importante
dare una mano a quelli che hanno dei bisogni veri e propri, cioè, i bambini. Ma
non pensavo che dovesse svolgere il suo lavoro proprio in Africa. È vero che
questi paesi dimenticati da Dio ricevono meno aiuto ma c’è anche gente in Italia
che ha delle necessità. Sebbene mi fossi mostrato contrario a questo viaggio fin
dall’inizio, l’avevo lasciata andare perché l’amavo.
Ma quello che questa notte mi aveva tolto il
sonno, era l’attesa. Due notti fa, mi era arrivato uno strano biglietto sotto
la porta di casa. Nel biglietto c’era scritto in bella calligrafia, di prendere
il primo aereo verso il Camerun e di aspettare una telefonata alle 5 del
mattino nella stanza 104 dall’unico albergo che c’era in città, se avevo voglia
di rivedere mia moglie viva. Ed io che pensavo che le associazioni criminaliste
ricattassero solo le famiglie ricche. Cosa c’entravamo noi? Ovviamente, c’era
anche scritto che non dovevo coinvolgere la polizia in questi affari.
Eccomi là.
All’improvviso, uno squillo del telefono mi ha
fatto sobbalzare dai miei pensieri. Pronto? –ho chiesto in italiano. Una voce
maschile e gentile mi ha dato delle indicazioni da seguire. L’uomo che parlava
dall’altra parte non mi è sembrato per niente impacciato, anzi, un vero professionista.
Dei freddi brividi mi hanno percorso la schiena mentre ascoltavo quello
sconosciuto. Ero davvero impaurito.
Poco a poco, dopo qualche minuto, mi sono ripreso.
Ho preso la mia borsa Invictus dall’armadio. Ho messo delle mazzette di denaro.
Mi sono infilato i jeans e una maglietta pulita e sono uscito dalla camera.
Con passi lunghi ho attraversato la hall dell’albergo
verso il bar. Lì, in un angolino, con il viso nascosto dietro un giornale
locale, aspettava l’uomo che doveva aiutarmi. Nel mondo della mala vita si
diceva che fosse un tipo in gamba. Era un cecchino molto scrupoloso. Mai
nessuna preda era scappata dal suo binocolo. Lui aveva il difficile compito di
assicurare lo scambio.
Mezzogiorno era arrivato. Mi trovavo mezzo al
nulla fuori città. Qualche capannone ci accoglieva. Che fortuna per il mio
uomo, avevo pensato. Mia moglie era seduta sul pavimento, legata mani e piedi
con la testa in giù. Non c’era traccia dei rapitori. Credo che si fossero accontentati
dei soldi che ero riuscito a raccogliere.
Appena mi ha visto, ha cominciato a piagnucolare.
Scusa... Ti amo... Sono state le uniche parole che è riuscita a dire.
Quello stesso giorno, mia moglie ed io abbiamo preso
il primo aereo che partiva per l’Europa. Lei era ancora sbalordita. Non le avevo
fatto nessuna domanda. Speravo che lei trovasse il coraggio necessario per
parlare di tutto ciò che era successo in Africa quando si fosse ripresa da quell’
incubo.
Racconto basato sui romanzi: “Odio gli italiani” di Michele Ponte (letto da Anita) e “Dov'è Anna” (letto da Carmen).
(immagine dal web) |
Mi sembra una storia intrigante. Anche se è un racconto breve credo che abbia un lessico complesso con delle descrizioni accurate, che ti permettono immaginare quello che si sta svolgendo, e quindi, coinvolgerti nella trama. Non so se è perché fa freddo.. ma mi è venuta la pelle d'oca in qualche momento.
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